Memoria e Oblio

MEMORIA E OBLIO

I labirinti si aprono, si rompono, vi entrano dei personaggi. Spesso dei bambini. Liv inizia a questo punto a interessarsi all’infanzia e ai suoi temi, come momento primigenio della storia dell’uomo. Ha bisogno di trovare un simbolo, che la racchiuda, che riesca a riassumerla. Pensa così al cavallino a dondolo. Si accorge, tuttavia, ripensando alla sua storia e chiedendo agli amici, che si tratta soprattutto di un’idea di infanzia, più che di un oggetto reale. Lei stessa ricorda di non averne mai posseduto uno, forse ce n’era uno a casa dei suoi zii. Così inserisce nel lavoro un’immagine fotografica di un cavallino a dondolo, trovata in un archivio, alla quale fa seguire la costruzione di carta dello stesso oggetto. Icona e indice hanno due pesi paralleli, ma diversi all’interno del lavoro. Entra così a fare parte della sua ricerca la fotografia, che diviene in breve linguaggio fondamentale. Sino a Cathedrals for the masses (2007-2010), il lavoro sulla metropolitana di Mosca, si è trattato per lo più di fotografie già esistenti, rintracciate negli archivi, sulle bancarelle dei mercatini, che venivano, in un secondo tempo, elaborate. Immagini che tuttavia perdono la loro connotazione emotiva originaria, il loro “correlativo oggettivo”, private, con il passare del tempo, della carica emozionale, data loro dall’occasione o dalla circostanza specifica per cui sono state realizzate. Le immagini assumono così una valenza altra, rispetto al frangente momentaneo, per accedere alla complessa categoria degli archetipi universali.
Le fotografie potevano essere documenti di archivio, ma anche materiali privati. Materiali, che, una volta entrati nell’opera di Liv, perdono la loro identità. L’oggetto, il volto fotografato abbandona il riferimento a un momento particolare. Il racconto non ha più importanza. Memoria e oblio sono due facce della stessa medaglia e Liv lavora su un sottile crinale. «Liv si muove in un’area di luce crepuscolare che si trova fra l’oblio e il ricordo, quando raccoglie frammenti di realtà, fissati dagli scatti dei fotografi sconosciuti, per conservarli come riflessi delle proprie ombre», così scrive Mordechai Omer. L’idea di infanzia non è legata alla sua memoria personale, è, piuttosto, un’idea a posteriori. Non ci troviamo di fronte a un laboratorio di ricerca, si tratta della cristallizzazione di una particolare condizione, che appartiene a tutti. I singoli frammenti all’interno dei lavori, gli oggetti di carta, non sono simbolici in senso stretto, non si rivolgono al particolare, quanto all’universale. Queste sue, sono immagini prive di una partecipazione emotiva legata all’evento. L’operazione parte dal singolare per giungere, all’universale, appunto.

Angela Madesan